La recensione. Viaggio nei tempi della lingua italiana

Marco Biffi, Viaggio nei tempi della lingua italiana, Franco Cesati Editore, Firenze 2017


Il libro di Marco Biffi, da lui stesso definito pillola, vuole essere «un sasso nel fiume […] un punto fermo nella linea del tempo […] fino a quando la corrente della storia non lo porta poco più in là». Questa pillola, che non ha la pretesa di porsi come un manuale di storia della lingua, è tuttavia un vero viaggio nel tempo che parte dal 476 e arriva fino a oggi, soffermandosi sulle tappe più significative del percorso, dal Placito capuano a Lettera a una professoressa.

E allora si parte con il chiedersi quando nasce l’italiano, per fermarsi sui primi vagiti del volgare e passare successivamente alla disfida quattrocentesca (volgare o latino). Dopo una breve sosta sulla ricerca di una identità linguistica negli scrittori Bembo, Varchi e Salviati durante il Cinquecento, si arriva alla pubblicazione del Vocabolario degli Accademici della Crusca nel 1612, all’abbandono del latino come lingua scientifica da parte di Galileo per sostituirlo con la lingua nazionale, e all’uso dell’italiano di Renzo e Lucia, protagonisti popolani del Seicento lombardo nel romanzo manzoniano.



Il viaggio prosegue fino alla nascita dello stato italiano nel 1861, allorché ci troviamo di fronte alla volontà di recuperare una dimensione naturale della lingua nella comunità dei parlanti che la usano, sia nella scrittura che nel parlato. Successivamente, a cinquant’anni dall’Unità, riscontriamo la presenza di vari livelli di italianizzazione, e dopo un secolo possiamo affermare che tutta la popolazione è in grado di esprimersi in italiano in qualunque situazione e che il dialetto convive insieme alla lingua nazionale. Nel 2011, infine, a centocinquant’anni dall’Unità, l’italiano «ha acquisito appieno tutte le sue dimensioni, anche se non è ancora diffusa la consapevolezza che questa sia una prerogativa fondamentale perché sia correttamente rappresentata la complessità storico-culturale del nostro Paese».

Per concludere, segnaliamo un valore aggiunto del lavoro di Biffi, una scelta che riteniamo particolarmente efficace nella pratica didattica: nel corso del viaggio, si dipana un filo rosso lungo il quale troviamo 13 ‘nodi’, ognuno dei quali rappresentato da una parola per secolo. Di tutte si dà la definizione, nella maggior parte dei casi tratta dal Grande Dizionario della Lingua italiana e quindi con tutte le accezioni identificate, se ne ripercorre la vita e l’evoluzione, se ne riportano esempi d’uso, citazioni d’autore e il suo utilizzo nei modi di dire.

Si parte da guazzabuglio (sec. VII-IX), si passa più avanti a stampa (sec. XVI), cannocchiale (sec. XVII), neutrino (sec. XX), per arrivare a post (sec. XXI), ultima parola della lista, scelta «un po’ a malincuore» dal Biffi, per questo scorcio di terzo millennio, in quanto si tratta di un prestito non adattato dall’inglese ma estremamente significativo perché è «il figlio più energico e vivace del web 2.0, che ha spinto decisamente sulla strada di un coinvolgimento sempre più massiccio degli utenti nella creazione dei contenuti nella rete».