Vera Gheno, Potere alle parole. Perché usarle meglio, Einaudi, Torino, 2019
«Un uomo apre una busta contenente un referto medico, legge che il risultato è “negativo” ma non sa se tirare un sospiro di sollievo o se preoccuparsi». L’incipit del libro di Vera Gheno ci pone subito di fronte a un disagio quotidiano che potrebbe capitare a tutti: la difficoltà legata alla mancata comprensione di un messaggio. Ne consegue la necessità di conoscere meglio l’italiano per accedere a un patrimonio immenso che spesso usiamo in modo parziale e poco corretto, per cui, più siamo competenti nel conoscere e usare le parole, più riusciremo a partecipare in modo soddisfacente alla società in cui viviamo.
Ma come si può sviluppare e approfondire tale conoscenza? A scuola ci hanno insegnato come parlare e come scrivere correttamente, ma non a riflettere sulla lingua, su che cosa è, a cosa serve e perché parliamo.
L’autrice ci introduce allora in questo grande mistero, soffermandosi sulla norma e l’errore e sul ruolo che la scuola ha di trasmettere quelle che lei chiama «le intelaiature delle competenze linguistiche». La scuola, infatti, deve addestrare a «conoscere la norma, perché solo conoscendola la si può trasgredire. Chi, invece, scrive come viene, senza conoscere la norma o fregandosene della sua esistenza, non è trasgressivo, è solo ignorante o menefreghista».
Tuttavia la norma non è invariabile, spesso è cambiata nel corso dei secoli, e anche oggi appare complessa e mutevole: vengono così elencate alcune fissazioni linguistiche assai diffuse (a me mi non si dice, il congiuntivo sta morendo, la doppia negazione afferma, i giovani e l’inglese sono la rovina dell’italiano, ecc.) che ci spingono a trovare un non facile equilibrio tra la norma e l’uso e a riflettere in ogni momento sul modo in cui usiamo la nostra lingua madre.
Un altro tema interessante del libro è Il lessico dell’italiano e come si espande che affronta, fra l’altro, il grande problema di come scegliere la parola più adatta a uno specifico ambito (ragionando sul contesto in cui dobbiamo impiegare quella parola), la questione dei neologismi (non basta inventare una parola nuova per farla entrare nel vocabolario), il ruolo dell’inglese (prendere parole da un’altra lingua può essere una necessità oggettiva, ma non occorre farlo indiscriminatamente), i femminili professionali (spesso percepiti come ‘stranezze linguistiche’, ma per cui, forse, bisognerà aspettare che il buon senso dei parlanti faccia il suo corso).
Argomenti di grande attualità, come si vede, di cui gli insegnanti, anche stimolati dalla lettura di questo volume, dovrebbero parlare diffusamente nelle loro classi, perché «ognuno di noi è le parole che sceglie: conoscerne il significato e saperle usare nel modo giusto e al momento giusto ci dà un potere enorme, forse il più grande di tutti».