La recensione. Le parole valgono

Valeria Della Valle-Giuseppe Patota, Le parole valgono, Istituto della Enciclopedia Toscana, Roma, 2020



Il titolo riprende il modo di dire ‘Le parole valgono’ diffuso dall’Istituto della Enciclopedia Treccani nel 2015 per una campagna attraverso i suoi canali social, intitolata appunto #leparolevalgono, in cui chiedeva ai propri internauti: «Quale parola ha cambiato la tua vita?».

Partendo da questo appello, gli autori ci accompagnano a scoprire tredici ‘parole che valgono' in alcuni testi del passato e del nostro presente. Dal Placito di Capua, dove le parole servono per accertare la verità, ai versi della Carta ravennate, che intonano una Canzone d’amore, passando per il Cantico di Frate Sole in cui le parole invitano a pregare.

Ancora: le parole valgono per raccontare qualcosa che sembra impossibile da dire, come nella Divina Commedia; oppure per esprimere il genio e l’umiltà di Leonardo da Vinci; o per nascondere altre parole, come nel Proemio dell’Orlando Furioso.

E come non pensare alle parole che valgono perché spiegano ulteriori parole, come nel Vocabolario degli Accademici della Crusca? Le parole valgono, a maggior ragione, quando si esprimono contro la tortura e la pena di morte nell’italiano usato da Cesare Beccaria, o quando sono utilizzate per fare l’Italia, come nel canto de Il volontario parte per la guerra dell’Indipendenza, più noto con il titolo Addio mia bella addio.

Così arriviamo a tempi a noi più vicini, quando le parole di Bella ciao sono usate per resistere al fascismo e all’occupazione tedesca; o quando, in bocca ai presidenti Luigi Einaudi e Azeglio Ciampi, valgono per custodire la repubblica. Il primo, perché ha sottolineato il «pericolo rappresentato dall’uso delle parole vuote, banali, ripetute in modo automatico, privilegiando inutilmente quelle straniere»; il secondo, quando ha ‘sdoganato’ la parola patria e insistito «nel richiamare i simboli della nostra identità di nazione, dal Tricolore all’Inno di Mameli, l’inno del risveglio del popolo italiano; e nel rievocare il nesso ideale che lega il Risorgimento alla Resistenza, alla repubblica, ai valori sanciti dalla Carta costituzionale».

L’ultimo esempio è tratto dall’enciclica Laudato si’ di papa Francesco che, come scrive Giuseppe Patota, «è rimasto uno dei pochissimi grandi che usa le parole di una lingua (che il più delle volte è l’italiano) sempre per qualcuno o qualcosa, e mai contro qualcuno o qualcosa». La cosa significativa è che l’enciclica è stata pubblicata in italiano, e non in latino, come quasi sempre accaduto negli ultimi trecento anni; ma, soprattutto, che le parole che aprono l’enciclica coincidono con le parole che aprono la preghiera in versi di san Francesco, un testo appartenente alla letteratura mondiale, «scritta in una lingua che noi italiani abbiamo il privilegio di poter comprendere quasi senza mediazioni». Le parole qui valgono per migliorare il mondo e quella che ricorre maggiormente, oltre all’aggettivo integrale, è ecologia. Ma l’uso che fa Francesco, dell’espressione ecologia integrale, trascende i vari significati che ne danno i vocabolari, perché viene intesa come «tutto ciò che è volto a garantire l’armonia, la giustizia, il bene comune del mondo e di tutte le creature che la popolano».

A lettura ultimata di questo libro agile e stimolante, l’impressione che rimane è quella di aver trovato degli esempi concreti del valore delle parole, a cui forse non avevamo mai pensato, ma che ci possono essere di grande aiuto anche nella pratica scolastica, come punto di partenza per approfondire la competenza lessicale e riflettere in modo sistematico sulle parole e sulle sorprese che ci possono riservare, imparando a usarle come arma di difesa contro la dilagante barbarie linguistica.